Critica - Valbi

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Critica

Sights For Sore Eyes
di Ginevra Bria


A sight for sore eyes è un’espressione idiomatica di estrema sintesi che estrinseca il momento esatto della rivelazione, come spettacolo per uno sguardo abituato, uso. Una visione per occhi indolenziti, sore, addirittura doloranti, improvvisamente vigili e coscienti, in poco più di un istante, di aver visto troppo senza avere, forse mai, davvero distinto.

Sights for Sore eyes introduce paesaggi gestuali non fotografici che riproducono a livello visivo l’atto di scoprire e di nascondere quel che potrebbe circondarci, o, all’opposto, risiedere interiormente. L’orografia chimica prodotta per impressione esterna si trasforma, sul supporto Polaroid, nel momento di un ingaggio con lo sguardo, che deve scoprire, all’interno delle misure standardizzate di un riquadro, lo spettacolo della rappresentazione. Arrivando lentamente ad una metafora dell’occultamento rivelato dalla sua stessa investigazione.

Valentino Albini interviene direttamente e indirettamente sull’impressione chimico-fotografica delle Polaroid, operando una sorta di fotocalcografia astratta, per trasmissione, e dunque applicando una tecnica di carattere tonale. Nell’agire esternamente, sulla pellicola non ancora esposta alla luce, per mezzo di un rullo e attraverso imprevedibili punti di pressione, anziché formare l'immagine come una serie organizzata di segni, Albini realizza aree di intensità cromatica a forma controllata. Questo processo è il risultato di un naturale compimento, gesto ultimo di un’incisione non lineare.
E solamente all’atto di sfilare la protezione di copertura, viene permessa l'esatta visualizzazione della superficie acetata come verifica del lavoro di distribuzione dei reagenti.
L’attesa diventa dunque una mediazione del disvelamento con l’involucro iniziale, momento necessario per sciogliere l'ultima incognita, quella che lega l'incisione al supporto in grado di mantenere impressa l'immagine agita. Meta di un'attesa lunga quanto l'intero lavoro.

Sights for Sore eyes collega otto scoto-grafie (letteralmente, dal greco σκότος, buio, oscurità) al limite della loro definizione di segni, del loro posizionamento contingenziale, riquadri profetici la cui intrinseca visività prova a scolpire un percorso mentale in chi le osserva, grazie alla capacità di indicare con precisione  climax invisibili. Lo sforzo che, di fronte alle Polaroid, si è portati a compiere, rimane quello del ritrovamento di uno sguardo in grado di cancellare e dimenticare l’abitudine che porta a sentirsi stanchi dei propri sore eyes. Non tanto per tornare a scorgere con occhi diversi, quanto per la necessità di orientarsi con purezza nello spazio e nel tempo.

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Le Dissolvenze di Valentino Albini
di Gaspare Luigi Marcone

Lakeside Gallery
Verbania
11 Giugno - 30 Agosto 2011


Valentino Albini (1959) ha avuto una formazione da fotografo professionista; tra gli anni Ottanta e Novanta ha lavorato nell'ambito della moda, del design e della pubblicità svolgendo anche attività di insegnamento per importanti istituti di fotografia. Non è superfluo ricordare gli studi da perito chimico.
La vena sperimentale si è manifestata subito, sia nel campo strettamente fotografico (cercando, ad esempio, espedienti per modificare resa e colore delle pellicole) sia soprattutto in un percorso di ricerca relativo alla tecnica del collage. È noto che la poetica del "montaggio", della frammentazione e ricomposizione dell'immagine, ha caratterizzato molte esperienze estetiche del Novecento dopo le sperimentazioni delle avanguardie storiche. In queste prime ed embrionali soluzioni di Albini è già chiara la volontà di distruggere uno specifico universo figurativo, per "risignificare" le immagini ed i messaggi visivi con il filtro della propria sensibilità. La tecnica del collage è stata propedeutica per la nuova via concettuale giunta a maturazione negli ultimi anni. Un percorso lungo e meditato, quasi sempre carico di tensione ed insoddisfazione per i risultati ottenuti, caratteri basilari per un'arte di profonda ricerca.
Il corpus di opere denominato metaforicamente Dissolvenze esprime in modo compiuto le nuove formule creative; la "dissolvenza", tipica del linguaggio fotografico e cinematografico, è trasferita da Albini sul piano concettuale, materico e formale, usando "solventi" chimici su fogli di carta. Dopo aver scelto pagine di riviste commerciali ottiene la decomposizione e dissoluzione delle immagini mescolandone i colori intrinseci. Le forme e le tonalità iniziali vengono totalmente trasfigurate.
Nella serie Croma, lavora con due pagine di riviste; sulla prima (che diventerà l'opera finale) cosparge i solventi e con la seconda pagina, tramite contatto e strofinamento, arriva ad "amalgamare" gli inchiostri tipografici. Il risultato è una sinfonia di colori inimmaginabili seguendo i tradizionali procedimenti pittorici. La ricerca cromatica, e le relative metafore, sono date da una tecnica estremamente essenziale; l'artista non aggiunge e non toglie nulla, ma diluisce e mescola il colore originario.
Un metodo simile è usato nella serie Impronte; in questo caso vi è un'unica pagina di rivista intrisa di solvente; l'opera finale è un semplice foglio bianco che, dopo essere stato sovrapposto sulla prima carta, si impregna di acidi e colori; l'impressione può durare alcune ore, diversamente dalla gestualità istintiva dei lavori di Croma. Con questa particolare idea di monotipo, nelle Impronte, emerge l'idea del "doppio" e della "traccia", della polarità tra negativo e positivo e della loro trasfigurazione.
Nell'arte di Albini la ricerca "formale" è unita ad una prassi oscillante tra appropriazione ed allontanamento dall'universo consumistico e mercificato della contemporaneità, e dalle personali esperienze biografiche.


Catalogo sfogliabile

 
 

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A QUESTO
di Franco Forzani

Nel 1912 Alban Berg decise di mettere in musica cinque dei Testi per cartoline illustrate di Peter Altenberg. La scelta, da cui scaturirono i Fünf Altenberglieder op. 4, privilegiava brevi composizioni aforistiche come Bufera di neve: "Anima, come sei più bella, più profonda, dopo la bufera di neve ---. / Anche tu ne subisci, come la natura ---. / E su entrambe aleggia ancora un'aria cupa, quando già le nubi sono dissolte!"
A questo mi hanno fatto pensare le piccole immagini di Valentino Albini presentati alla galleria Lakeside di Verbania, figure che nello sforzo di fissarsi sulla carta si sfocano in indistinte tracce di colore. Così la serie Croma, giusto il sapiente uso di solventi, dissolve nell'informale le fotografie trattate e le loro denotazioni nate precise, laddove Impronte - che proiettano l'ombra chimica del supporto su una superficie neutra - sconfessano non solo l'impressione ma anche la stampa del processo.
Mi spiego meglio: Albini prende la pagina di una banale rivista (non è dato sapere con quali criteri venga operata la scelta, ma sicuramente avrà a che fare con contenuti "superficiali", nel senso etimologico del termine) la cosparge di solvente e vi sovrappone un'altra superficie, a seconda dei casi un foglio bianco (Impronte) o una seconda pagina del magazine (Croma); i colori così rimescolati perdono il contenuto denotativo di partenza e ne generano uno nuovo. Con tutto ciò il processo è tutt'altro che casuale: Albini nasce fotografo e col suo gesto non vuole affatto rinnegare il passato; al contrario ribadisce l'urgenza del controllo, la consapevolezza della tecnica, la maestrìa del risultato.
Si obietterà che simili interventi su materiali fotografici non rappresentano una novità, e che anzi risultano gravidi di tali e tante ascendenze da atterrire per la responsabilità pretesa nel proporre risultati originali. Ma anche in questo caso credo che tutto deponga a favore dell'autore, poiché le immagini esposte non risultano tanto "concettualmente interessanti" quanto semplicemente belle, e ciò proprio in virtù di quella citata esperienza di fotografo tradotta in una tecnica del tutto controllata. Così, emendato un procedimento apparentemente bambinesco, un gioco che vorrebbe fingersi casuale e che suona invece come autoimposizione creativa, rimane "tutto il resto": la poesia.
Ne scaturiscono paesaggi astratti intesnsi e commoventi su superfici minime, eleganze diafane che esplorano gli orizzonti del pensiero, immagini dissolte ed enigmi soluti. Perché "tutti ne subiamo, come la natura".

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